Gian Paolo resse la città fino a che non venne attirato in Castel Sant'Angelo da papa Leone X e fatto decapitare, probabilmente a causa della sua condotta infamante nei confronti della popolazione perugina. Prese il suo posto Malatesta IV Baglioni, figlio di Gian Paolo, il quale fuggì a Napoli dopo aver saputo della tragica fine del genitore, costretto a rientrare in Perugia con l'uso della forza. Malatesta Baglioni morì all'età di 40 anni il 24 dicembre 1531, minato dal mal franzoso, la sifilide.
La sua prematura scomparsa lasciò un vuoto di potere, del quale papa Clemente VII non esitò ad approfittare, esiliando lontano da Perugia e confiscando i beni dei discendenti del Baglioni, senza però risolvere completamente la questione perugina. La morte di Clemente VII, infatti, avvenuta nel 1534, lasciò al suo successore Paolo III, il problema dell'esistenza di una repubblica perugina sotto la tutela papale.
Il nuovo papa Alessandro Farnese, si dimostrò fin da subito molto attento agli eventi che riguardavano la città di Perugia, recandosi spesso in visita e sondando il terreno, in attesa di prendere decisioni riguardo il modo migliore di sfruttare la situazione. Venne una prima volta nel 1535, donando alla città una cospicua rendita e perdonando gli assassini (Rodolfo Baglioni) che l'anno precedente avevano trucidato un Vice Legato, un Auditore, un Segretario, il Priore e suo fratello. Tornò una seconda volta nel 1539, facendo credere alla popolazione di avere davvero a cuore la città e i suoi abitanti, mentre in realtà era semplicemente il preludio della crisi.
L'anno buono fu il 1540. Il papa aveva sempre più necessità di imporre nuove tasse e nuovi balzelli, per reperire i fondi necessari per fronteggiare sia la dilagante minaccia turca, sia i movimenti protestanti ed eretici che minacciavano la stabilità della Chiesa.
Il provvedimento che risultò più odioso di altri, fu l'imposizione dell'obbligo di rifornirsi del sale, preziosissima materia prima, esclusivamente dalle saline pontificie, le quali praticavano un prezzo doppio rispetto ai senesi, abituali fornitori della città di Perugia.
L'aumento ingiustificato avrebbe stroncato l'economia perugina. Perugia reagì inizialmente eliminando il sale dalla produzione del pane, e affidando a venticinque cittadini illustri il compito di gestire la resistenza all'autorità papale.
Ma la città non era organizzata per sostenere né una lunga resistenza, né uno scontro aperto con l'autorità papale, per la mancanza di denaro e per la carenza di forti personalità in grado di risolvere una questione così spinosa.
Quando in aprile giunse la notizia che l'esercito papale stava marciando in direzione di Perugia i cittadini innalzarono un crocifisso ligneo di fronte al portale della Cattedrale di San Lorenzo, ponendosi idealmente sotto la protezione del santo, ma cercando anche cercando l'appoggio delle città vicine e dei Baglioni.
Pierluigi Farnese guidava le operazioni delle milizie del papa, mentre a guidare la riscossa perugina giunse Ridolfo Baglioni, accendendo di speranze gli animi della popolazione.
Già nei primi giorni di giugno la situazione volgeva inesorabilmente a sfavore di Perugia, cosicché il 3 dello stesso mese Ridolfo era seduto al tavolo delle trattative presso il Monastero di Monteluce, convenendo che le sue truppe avrebbero lasciato la città, mentre quelle del papa vi avrebbero fatto ingresso.
Con l'ingresso dell'esercito di papa Farnese, Perugia perse definitivamente quel barlume di libertà ed indipendenza. I Priori vennero sostituiti da venti "Conservatori dell'Ecclesiastica Obedienza".

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