La straordinaria avventura di Braccio da Montone si inserisce esattamente in questo contesto.
Andrea Fortebracci nasce a Perugia il 1 luglio 1369, figlio di un fuoriuscito perugino, Oddo conte di Montone, e Giacoma Montemelini.
Nel mese di agosto del 1402, Gian Galeazzo Visconti muore improvvisamente, colpito dal dilagare della peste. L'evento mescola nuovamente le carte, poiché la Duchessa Caterina, vedova di Gian Galeazzo, non era in grado di sopportare la gravosa gestione dello stato.
Fu così che Perugia venne restituita al proprio governo e sciolta da ogni vincolo.
Al fine di impedire che la città fosse preda di nobili e fuoriusciti, giunse l'accordo con Bonifacio IX, implicato direttamente nelle cose di Perugia per mezzo della costante presenza del Cardinale Legato.
Le gesta dei fuoriusciti che in ogni modo tentavano di riprendere il possesso della città, fino ad allora non avevano mai riscosso grande fortuna, essendo in prevalenza azioni poco organizzate e del tutto sporadiche. Fortebraccio farà invece della strategia e dell'organizzazione delle proprie milizie la sua arma vincente.
In un primo momento la città di Perugia entra nell'orbita del regno di Napoli, grazie all'insediamento del giovane ambizioso Ladislao, elezione fortemente voluta da Bonifacio IX. Una delle prime risoluzioni di Ladislao fu quella di eliminare Fortebraccio, nonostante in quel tempo fosse al suo servizio.
I due eserciti si scontrarono a Jesi. Ladislao venne sconfitto e fu costretto a riparare in meridione, mentre Fortebraccio si reca in Toscana per offrire la propria spada a Firenze che l'accetta di buon grado.
Risolta la vicenda dell'Antipapa, venne eletto Alessandro V, il quale dichiarò decaduto Ladislao, privando così Perugia della protezione di cui fino a quel momento aveva goduto. Ladislao però non si arrese e risalì da Napoli alla volta dell'Umbria, dove assediò senza successo la città di Todi difesa da Braccio, salvo entrare successivamente in Perugia, evento che precederà di poco la sua morte. La sorella di Ladislao, la regina Giovanna, non destava grossi entusiasmi da parte del governo di Perugia, mentre al contrario, la figura di Fortebraccio acquisiva sempre più spessore, alimentando ogni giorno di più il mito e la leggenda dell'invincibile condottiero.
Nel 1416 l'esercito di Fortebraccio si decise a stringere d'assedio le mura di Perugia, decretando così la repentina fine del governo Raspanti. Distolse preventivamente tutti gli eserciti che da Rimini, Napoli e Roma si mossero per intervenire in difesa della città. Dopo una battaglia incerta il 19 luglio Fortebraccio entra in Perugia, incendiando le ordinanze che mettevano al bando i fuoriusciti e riconsegnando loro beni e diritti.
La signoria del vittorioso condottiero è stata una delle grandi pagine della storia perugina. Braccio Fortebraccio non si rivelò un principe dispotico, sebbene non si sentì mai appagato della conquista della città.
Nel 1417 entra a Roma con le sue milizie, e con il pretesto di proteggerla nel nome del pontefice, si insedia in Vaticano autonominandosi Defensor Urbis. Fu costretto a ripartire a causa della peste che mieteva vittime fra il suo esercito. Tornato in Umbria sollecitò il papa per confermarlo nel ruolo che egli aveva praticamente già attribuito a se stesso.
Per ottenere il suo scopo Braccio si adoperò nell'arte che meglio conosceva, la guerra, stringendo in una serie di assedi le città di Gubbio, Assisi, Ancona, Todi, Spoleto, Orvieto, costringendo il papa Martino V a scegliere il male minore, nominandolo suo Vicario.
Al ritorno da Firenze, dove il condottiero si incontrò con il papa per sancire il suo ruolo, Perugia lo accolse fra il tripudio generale. Braccio si dedicò al rifacimento della città, pagando i lavori grazie alle ingenti somme saccheggiate in precedenza e avviando numerosi progetti di riammodernamento.
Ma la sua permanenza in città non durò a lungo. La sua indole lo portò a cimentarsi in imprese sempre nuove. Martino V lo chiamò per riconquistare Bologna, Alfonso il Magnanimo lo volle al suo fianco contro Luigi III d'Angiò. Fortebraccio era uomo d'arme e non di politica, cosicché ai brillanti successi militari faceva eco una situazione sempre più instabile e confusa nella sua città, soggetta alle angherie di chi governava in sua vece. La situazione richiedeva nuovamente il suo intervento, così tornò e fece piazza pulita dei reggenti.
Credendo di aver sistemato le cose, tornò in Calabria, su invito di Alfonso e Giovanna, dalla quale risalì facendo tappa alle porte dell'Aquila. La città non volle aprire le proprie porte all'eroico condottiero, che senza pensarci due volte, si decise a cingerla d'assedio.
La testardaggine di Fortebraccio lo portò ad una battaglia inutile quanto pericolosa. Il clima nei suoi confronti stava per mutare, poiché sia il papa, sia la regina di Napoli, temevano di dover incoronare un nuovo monarca, tanto ingombrante quanto bravo fortunato in battaglia.
Ma la fortuna questa volta stava per abbandonarlo. Lo lasciò definitivamente quando una lega composta da tutte le forze che nel frattempo si erano coalizzate, si scagliarono contro il suo esercito presso Pescara. Nel corso della battaglia, il 2 giugno 1424, venne ferito mortalmente alla testa con un colpo di mazza chiodata. Tre giorni dopo morì e fu sepolto, per ordine di Martino V, in terra sconsacrata fuori la porta di San Lorenzo.
Solamente otto anni più tardi il figlio Niccolò ottenne il permesso di poter disseppellire le spoglie del padre, facendo rientro con il feretro nella città di Perugia con il massimo degli onori.

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